Il concetto di disabilità ha subito nel tempo una profonda revisione, sia dal punto di vista scientifico che culturale e sociale.

Dovendo scegliere il termine corretto teniamo quindi sempre presente che la disabilità non è una malattia, bensì una condizione “momentanea” nella quale una persona non riesce a fare qualcosa, superabile se vengono messi a disposizione gli strumenti giusti. Per questo motivo sono assolutamente bandite tutte quelle parole che rimandano a un concetto di disabilità come sofferenza e dolore, impedimento o costrizione, incapacità.
Utilizzare il termine “diversamente” non migliora le cose e, anzi, crea ulteriore discriminazione. Dire “diversamente abile” o “con diverse abilità” lascia intendere che qualcuno sia comunque “diverso” dagli altri e quindi, in un certo senso, inferiore.

La Classificazione della Disabilità:

I modelli della disabilità sono distinguibili in tre categorie ovvero quelli che attribuiscono la disabilità:

  • Alla persona (ICIDH) international classification of impairments, disabilities and handicaps
  • All’ambiente (Modello sociale).
  • All’interazione tra persona e ambiente (ICF) International Classification of Functioning, Disability and Health.

Il modello ICIDH si basa su 4 capisaldi:

  • Disturbo:una situazione di anomalia intrinseca all’individuo che si manifesta mediante segni e sintomi.
  • Menomazione:Perdita a carico di funzioni psichiche o fisiche che si manifesta tramite l’esteriorizzazione del disturbo.
  • Disabilità: Qualsiasi limitazione nella capacità di agire che si manifesta a seguito di una menomazione, si tratta di uno svantaggio a livello personale.
  • Handicap:Uno svantaggio sociale derivante da una menomazione o da una disabilità.

Il modello medico della disabilità prevede dei collegamenti unidirezionali che negano ogni possibile strategia di mediazione.

Il modello sociale della disabilità nasce nel 1981 ad opera di associazioni per la tutela dei diritti dei disabili (UPIASUnion of the Physically Impaired Against Segregation)

Si contrappone al modello medico, contro cui formula alcune critiche:

Si tratta di un modello individuale, che focalizza il problema della disabilità all’interno dell’individuo;

Sostiene che la disabilità sia causata esclusivamente del deficit del disturbo;

Non prevede strategie di interazione (es. strumenti compensativi, sostegno sociale etc);

Alimenta la “teoria della tragedia personale”, che vede la disabilità come un fatto terribile che capita a persone estremamente sfortunate;

Il modello sociale della disabilità sostiene invece che: la disabilità è una condizione sociale non una condizione medica.

Sposta la responsabilità sul contesto sociale.

La disabilità è vista come un costrutto sociale, data dall’incapacità da parte della società di fornire servizi adeguati a garantire le esigenze delle persone disabili.

limita il loro valore, pone un carico aggiuntivo alla loro menomazione e crea valori, norme e convinzioni non accettabili.

Il modello sociale della disabilità si struttura su due livelli:

  • Menomazione: Condizione di avere un arto o un meccanismo del corpo difettosi.
  • Disabilità: Svantaggio o restrizione di attività causati dall’ organizzazione sociale contemporanea che tiene poco conto o per nulla, delle persone con impedimenti fisici, escludendole dalla partecipazione sociale.

Vi è un altro modello, quello Biopsicosociale. Questo modello della disabilità ha carattere innovativo in quanto, non descrive più le conseguenze delle malattie ma parte dalle condizioni di salute.

In relazione alle visioni parziali proposte dai due modelli tradizionali, si è sviluppato un terzo modello che considera la disabilità il risultato dell’interazione di diversi fattori. Nella sua nuova classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF International Classification of Functioning, Disability and Health) , l’OMS descrive la disabilità tentando di prendere in considerazione gli aspetti individuali e ambientali che la determinano.

L’ICF risulta pionieristico per i seguenti motivi:

  • Nasce dal tentativo di creare un modello intermedio tra quello medico e quello sociale;
  • Tiene conto dei fattori contestuali sia personali che ambientali che possono interagire a più livelli;
  • Utilizza una terminologia positiva partendo dalle condizioni di salute e non dal deficit;
  • Prevede strategie di interazione che si influenzano su più livelli;
  • Coinvolge e auspica un lavoro di rete con la collaborazione di più professionisti (biopsicosociale).

Ancora più attento alle diverse correlazioni è il modello di processo di produzione della disabilità (PPH Processus de Production du Handicap), sviluppato negli anni 1980 in Canada da Fougeyrollas e i suoi collaboratori.  

Il modello vede la disabilità come una variazione dello sviluppo umano, vale a dire una differenza nel livello di raggiungimento delle abitudini di vita o nell’esercizio dei diritti umani. Rendere la disabilità una realtà completamente separata dallo sviluppo umano è alla base della percezione di separazione che ancora troppo spesso distingue le persone “disabili” (portatrici di anomalie) dalle persone “valide” (chiamate normali o normodotate). Secondo la MDH-PPH, la disabilità non sembra necessariamente essere una realtà permanente e statica per tutte le persone. A seconda dell’ambiente in cui una persona opera o di fattori personali, può vedere la qualità della sua partecipazione sociale migliorare o deteriorarsi nello spazio e nel tempo. La disabilità dovrebbe sempre essere definita come una situazione di disabilità (situazione di disuguaglianza).

Il Valore dello Sport - Karate e Disabilità:

Gli sport hanno il potenziale per trasformare il modo in cui le competenze basate sulle abilità vengono valutate esponendo i bambini allo sport praticato da individui con un funzionamento limitato (Grenier, Collins, Wright & Kearns 2014). Anche in questo caso, Grenier e colleghi hanno anche osservato che gli sport per disabili promuovono la pratica dell’integrazione inversa, che include la partecipazione di individui senza disabilità a sport specificamente progettati per i disabili. In considerazione dell’aspetto della discriminazione, gli atteggiamenti e le pratiche degli insegnanti sono considerati come barriere sociali, (Barnes & Mercer, 2004; Oliver, 2004). E’ evidente il tracciamento ad un percorso di Sport Integrato dove, il modello facilita l’indipendenza per le persone con disabilità rimuovendo le barriere che tipicamente disabilitano l’individuo attraverso ambienti inaccessibili. Le barriere disabilitanti sono quegli elementi contestuali che limitano l’istruzione e le opportunità di vita per le persone con disabilità (Davis, 2006). Lo sport con disabilità e le caratteristiche dell’allenatore possono influenzare moltissimo gli atleti con disabilità insieme alle caratteristiche dei metodi di allenamento preferiti dagli atleti stessi (Culver & Werthener, 2018, Martin, 2017; Townsend, Cushion & Smith, 2018). Il modello sociale vede la disabilità come un prodotto della società, il che significa che la società decide le categorie che sono abilitanti e disabilitanti (Antenack & Livneh, 2000). Pertanto, il centro dell’attenzione si sposta dall’individuo alle barriere che l’individuo stesso deve affrontare e sono queste barriere che devono essere identificate se vogliamo aiutare le persone nella pratica sportiva. Una volta rimosse queste barriere, le persone progrediranno per partecipare a tutti gli sport.

Oggi, gli atleti con disabilità fisiche, grazie all’innovazione tecnologica, hanno la possibilità di cimentarsi con successo in quasi tutte le gare sportive, con prestazioni impressionanti. L’introduzione di materiali provenienti dall’industria aerospaziale, come fibre di carbonio, kevlar, leghe di titanio, leghe di alluminio ad alta resistenza, combinata alla ricerca nel settore della biomeccanica, hanno  permesso di affrontare le complesse problematiche legate alla disabilità rivoluzionando il mondo dello sport.

Il karate possiede la qualità di sostegno della salute psicologica e promuove cambiamenti personali in una direzione desiderabile (Fuller 1988). Diversi studi hanno dimostrato che la pratica del karate ha riportato miglioramenti nei limiti funzionali, specialmente nelle aree di equilibrio, forza e resistenza. Le conclusioni più salienti di questi studi riguardano i cambiamenti nella percezione di sé e nella qualità della vita. La maggioranza dei praticanti con disabilità ha riferito di sentirsi più fiduciosi, di avere un maggiore rispetto per se stessi, di essere individui più capaci e che la loro qualità di vita complessiva è stata migliorata grazie al karate.

Ormai è assodato che il Karate, associato ad ogni suo movimento, è essenziale per lo sviluppo fisico e neurocognitivo, garantisce una crescita corretta e offre molti benefici, dall’infanzia all’età adulta, con o senza disabilità. 

In generale, l’attività motoria gioca un ruolo fondamentale in termini psicologici, educativi e sociali. Infatti, la pratica sportiva induce uno sviluppo fisico armonioso con benefici significativi comuni. E’ stato dimostrato che l’esercizio fisico regolare influisce positivamente sulla salute e sulla funzione neurale e riduce il rischio di varie malattie neurologiche (Monda et al., 2017a).

OMS: Linee guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità 2020 sull'attività fisica

(GDG) Gruppo di Sviluppo delle Linee Guida: Raccomandazioni per le persone che vivono con disabilità

L’attività fisica è considerata sicura e vantaggiosa per le persone che convivono con la disabilità, senza controindicazioni e non ci sono rischi maggiori quando è appropriata al livello di attività corrente, allo stato di salute e al livello di funzionamento fisico di un individuo. Il GDG ha concluso che queste raccomandazioni potevano essere estrapolate a bambini, adolescenti, adulti e anziani che convivono con la disabilità.

 Il GDG ha concluso che le forti raccomandazioni per questa popolazione riflettono l’equilibrio tra conseguenze desiderabili e indesiderabili e inviano un messaggio importante per sostenere l’inclusione delle persone con disabilità nelle iniziative per la salute della popolazione attiva.

Queste linee guida globali del 2020 focalizzano l’obiettivo generale della politica nazionale e supportano l’ampliamento della portata delle azioni per includere gruppi aggiuntivi, come le persone che vivono con la disabilità.

Queste nuove linee guida dell’OMS aggiornate sull’attività fisica e il comportamento sedentario, prova che i benefici derivano da qualsiasi attività fisica e questo vale per persone di tutte le età e capacità.

Ora è il momento di lavorare per garantire e supportare l’adozione e l’attuazione di queste nuove linee guida globali per un futuro più sano e più attivo in tutto il mondo.

www.who.int/publications/i/item/9789240015128

www.who.int